mercoledì 2 novembre 2011


LETTERA DI PAOLO AI FILIPPESI



La lettera alla “chiesa” di Filippi (città della Macedonia), governata da un collegio di episcopi e diaconi, Paolo la scrive durante una prigionia (forse nel carcere di Efeso o di Cesarea, cfr. At 23,25, o di Roma). La carcerazione è il prezzo che paga per il suo zelo nel propagandare la fede del Cristo Gesù, per il quale è pronto anche a morire (teorizzazione del martirio per il trionfo della fede).  La data di composizione della lettera potrebbe oscillare tra gli anni dal 54 al 62. Si tende ultimamente ad ammetterne l’autenticità, ma si ritiene che sia una combinazione di più lettere scritte dall’apostolo in più tempi. Dubbi si hanno riguardo all’inno sulla passione e glorificazione di Cristo (2,5-11), che mostra una distinzione di Dio nelle due persone del Padre e del Figlio.

L’apostolo raggiunge la Macedonia durante il suo secondo viaggio missionario (anni 48-51), sospinto da una visione del Signore (At 16,9). A Filippi si sofferma parecchi giorni con Sila e Timoteo, riuscendo a creare la prima comunità di cristiani in Europa, convertendo una certa Lidia e la sua famiglia. Paolo libera dal maligno una schiava indovina. In seguito a un tumulto sono bastonati e incarcerati, ma il sopraggiungere di un terremoto consente ai tre missionari di essere liberati. Prima di lascare Filippi, convertono il carceriere (cfr. At 16,1 seg.) e la sua famiglia.

Paolo si qualifica nella lettera servo (schiavo) di Cristo. Si apre ai Filippesi esprimendo personali sentimenti, non questioni dottrinali o rimproveri. Promette loro d’inviare il valente collaboratore Timoteo. Intanto manda subito Epafrodito, ristabilitosi da una grave malattia, a causa della quale ha rischiato di morire. Dio ha avuto pietà di lui, guarendolo, ma anche di Paolo, sottraendolo da un aggravio di afflizioni.

Non era in potere degli apostoli risanare seduta stante le infermità? Non si doveva rattristare della morte solo chi non aveva speranza alcuna nella risurrezione dei corpi?

Paolo esorta i Filippesi a non lasciarsi atterrire dagli avversari e a sopportare le sofferenze, come fa lui, per amore di Cristo. Soffrire per lui è una gioia, un dono concesso da Dio per la salvezza dei cristiani. Risalta nella lettera l’inno a Cristo. Tutti i popoli della Terra devono proclamarlo Signore dell’universo. Gesù, pur essendo uguale a Dio (contrariamente in 1 Co 15, 27, dove appare subordinato al Padre), ha rinunciato alla sua natura divina (kenosis) per venire a vivere insieme agli uomini, divenendo simile a loro, servo tra i servi di Dio, umiliandosi fino a morire sulla croce. Per questo il Padre lo ha esaltato e glorificato, attribuendogli la signoria degli esseri celesti, terrestri e sotterranei, proclamandolo padrone dell’universo. Per mezzo della fede in Cristo, l’uomo è ora giustificato. Il cristiano, parola di Paolo, non appartiene più al mondo in cui vive, ma al Regno di Dio.


Lucio Apulo Daunio


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